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Il falegname
La bottega del falegname
Nelle comunità alpine e prealpine, il lavoro del falegname riguardava, innanzitutto, la realizzazione e la riparazione di serramenti (serrature, porte, finestre), senza trascurare la fabbricazione di manufatti e mobilio di impiego comune che, se destinati alla cosiddetta "nobiltà valligiana", tra il XVI e il XVII secolo, avrebbero potuto essere ricchi di decorazioni o finemente intarsiati. Anche gli arredi popolari (sedie, panche, cassoni, madie, credenze, armadi, ecc.), spesso realizzati direttamente in ambito domestico o da figure specializzate come il cadregatt (per le sedie), potevano presentare leggeri intagli a sgorbia con fiori e motivi geometrici, delle figure ornamentali piuttosto comuni in molte aree delle Alpi e delle Prealpi.
Una tipica caratteristica degli "artigiani del legno" alpini era inoltre l'inclinazione a intagliare negli oggetti lavorati: date, simboli, iniziali e massime, a testimonianza della precoce alfabetizzazione di alcune regioni montuose.
In assenza di carradori e bottai, mestieri non sempre presenti, il falegname poteva anche dedicarsi alla fabbricazione di carri e botti. Talora si poteva invece limitare alla più umile attività di segantino, che ricavava assi dai tronchi.
La bottega era normalmente uno stanzone con il bancone al centro e gli arnesi, in ordine di grandezza, appesi alla parete in apposite rastrelliere. Seghe e altri utensili di più grandi dimensioni erano solitamente riposti su alcune assi sotto il bancone; mentre in un angolo poteva trovarsi un tornio o un cavalletto.
Apprezzati per il loro ingegno, oltre che per la loro conoscenza del legno, i "fabbri lignari" (come erano chiamati gli artigiani del legno provenienti dalla Valtellina, dalle valli bergamasche e bresciane, nonché dall'intero comprensorio del Lario) conobbero notevole fortuna e notorietà in tutta la Lombardia, specialmente dal XIV al XVIII secolo.
Il falegname: Piero Bianchi, detto "Saetta"
Il cadregatt (Il seggiolaio): Salvatore Marascio
Gli usi del legno
Considerando la storia della vegetazione lombarda nel corso dell'ultimo millennio, si ricava che un'ampia superficie boschiva si stendesse sopra buona parte del territorio fino all'XI secolo; periodo a partire dal quale ebbe inizio un graduale processo di contrazione del manto arboreo. Un fenomeno provocato dalle numerose attività agricole che, in rapida crescita, coinvolsero la Pianura Padana, fino ad interessare, nei secoli successivi, le aree pedemontane ed alpine.
Dal XVIII secolo, si registrò inoltre una considerevole crescita nei consumi e nelle richieste di legname, determinata dalla ripresa delle attività estrattive e dallo sviluppo delle produzioni metallurgiche.
Tuttavia, l'utilizzo del legno non è stato vincolato dal suo solo impiego come combustibile.
Ogni tipo di essenza legnosa, a seconda delle sue proprietà (durezza, plasticità, porosità, aspetto, colore, peso), è stata, ed è tuttora, sfruttata per usi e lavorazioni specifiche.
Così, ad esempio, le varietà di utilizzo negli intrecci di ceste, canestri e gerle avrebbero potuto essere: nocciolo (Corylus avellana), castagno (Castanea sativa) e salice (genere Salix). Quest'ultimo, abbondante nelle zone umide, in particolare lungo gli argini dei corsi d'acqua, era di largo impiego nella coltivazione della vite, degli orti e dei campi. Grazie infatti alla notevole flessibilità dei suoi rami, poteva fornire degli ottimi legacci.
Il faggio (Fagus sylvatica), di ampia diffusione sui pendii delle Prealpi Varesine, oltre ad offrire un legno duro e robusto, adeguato nella fabbricazione di diversi utensili agricoli e di uso quotidiano (sedie, tavoli, tavole da bucato, contenitori, stoviglie, culle, ecc.), era sfruttato per le sue foglie che, così come la paglia o il crine vegetale, fungevano da imbottitura a letti e materassi. In sostituzione, avrebbero potuto essere utilizzate foglie di granturco e felci, queste ultime ritenute possedere proprietà insettifughe e antireumatiche.
La betulla (Betulla pendula), l'ontano bianco (Alnus incana) e la ginestra (Cytisus scoparius) erano, invece, particolarmente adatte nella realizzazione delle scope, di impiego specialmente nelle stalle: le più morbide per la pulizia delle mangiatoie, quelle più dure per letame e rifiuti.
Caratteristico delle regioni alpine e prealpine, era inoltre l'uso del maggiociondolo (genere Laburnum) che, sebbene nelle vallate ossolane e nel Vallese fosse considerato un "legno fetente" per lo scarso valore economico, grazie alla sua robustezza era adoperato nella fabbricazione delle pialle, degli utensili più spesso realizzati in legno di noce, carpino, corniolo, bosso o ciliegio.
All'opposto, alcune essenze resinose (Pinaceae), di introduzione sei-settecentesca nelle Prealpi lombarde occidentali, sarebbero state preferite nella tornitura delle stoviglie di uso quotidiano o, per la loro capacità di resistere alle intemperie, nella costruzione delle strutture portanti di tetti, ballatoi, abitazioni e fienili, oltre che nella fabbricazione dei serramenti.
Il legno massiccio e compatto del frassino (Fraxinus excelsior) e del carpino bianco (Carpinus betulus) era un'ottima materia prima per carradori e falegnami. Impiegati, infatti, nella costruzione di carri e barozze, avrebbero potuto essere inoltre utilizzati nell'intaglio di mobili e manufatti di varia natura; così come l'acero di monte (Acer pseudoplatanus) o il bosso (Buxus sempervirens), eccellenti nei lavori di tornitura. Sci e slittini erano per lo più di frassino.
Mentre strumenti da falegnameria, pavimenti, giocattoli e culle erano, generalmente, in legno di abete rosso (Picea excelsa), sfruttato parimenti per l'ottima cellulosa.
Il castagno era perfetto per le doghe di botti e mastelli, nonché per mobili e pavimenti; il ciliegio (genere Prunus), robusto e diffuso nella fascia collinare e montuosa del Varesotto, offriva invece un'essenza legnosa utile nella fattura di arnesi da lavoro o strumenti musicali. Non diversamente il corniolo (Cornus mas), duro e compatto, possedeva largo impiego nella realizzazione di differenti utensili: manici di zappe e seghe, denti da rastrello, ecc.
Il noce (Juglans regia), così come l'olmo montano (Ulmus glabra), veniva apprezzato nella manifattura di mobili ed impugnature, non di rado decorate.
Il rovere (Quercus petraea), robusto e colore ocra, era utilizzato nella realizzazione delle botti e dei tini, indispensabili nel trasporto dell'uva e nell'invecchiamento di vini e grappe.
Infine la robinia (Robinia pseudoacacia), di introduzione settecentesca nelle Prealpi Varesine per consentire il recupero di terreni incolti e di brughiera, era impiegata, soprattutto, nei lavori di paleria e nel sostegno della vite.