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Le risorse del bosco
Una peculiarità significativa del paesaggio prealpino lombardo è costituita dalla notevole presenza di boschi. Conifere e latifoglie sono le tipologie boschive più diffuse, in particolare la robinia, il castagno, il faggio, il noce, la roverella e molte altre essenze legnose sono tuttora una risorsa indispensabile per le comunità prealpine, come quella di Brinzio.
torna all'inizioSelvicoltura
Il bosco è da sempre stato un luogo di particolare interesse, anche se inizialmente era per lo più percepito come semplice estensione da disboscare, al fine di accrescere le terre coltivabili.
Solo dal XIII secolo è andata lentamente affermandosi la tendenza ad individuare nella superficie boschiva una risorsa da proteggere e al contempo da sfruttare. I boschi si popolarono così di professioni inedite: taglialegna, cacciatori e carbonai.
Tuttavia lo sfruttamento intensivo che seguì nei secoli successivi, incoraggiò, nel corso del Settecento, la nascita di una nuova scienza: la selvicoltura, insieme di conoscenze tecnico-pratiche atte a pianificare gli interventi necessari alla conservazione delle selve.
Nella fascia delle Prealpi Varesine, le principali attività del bosco riguardavano il taglio della legna e la raccolta delle castagne.
Il taglio della legna: dal bosco al paese
Dopo avere opportunamente individuato le piante da abbattere, il boscaiolo procedeva al taglio con la scure. L'albero, caduto al suolo, veniva quindi sfrondato dai rami adoperando seghe o roncole. Questi venivano, di poi, ammonticchiati e legati in fascine, combustibile indispensabile per le fornaci.
A pulitura ultimata, il tronco, caricato sul carro o più spesso sulla barozza (un carro privo di ruote posteriori), era trasportato in paese. La barozza consentiva una discesa a valle più sicura, poiché l'attrito provocato dallo sfregamento dei tronchi sul terreno avrebbe frenato ulteriormente i buoi. Nelle vicinanze dell'abitato, al fine di agevolare il trasporto al luogo di accatastamento, si sarebbero potute aggiungere le ruote posteriori.
Ogni singola catasta veniva realizzata secondo una determinata procedura: alla base erano sistemati i tronchi di castagno, sui quali, dopo essere stati suddivisi per varietà, si riponevano quelli di faggio, quercia, frassino e betulla. Di fianco, erano invece erette le cataste di quercia, castagno e larice che, di qualità migliore, venivano utilizzati nelle segherie come legname d'opera.
Il taglio del bosco. Disegno di Ettore Liuzzi.
Il trasporto dei tronchi mediante la barozza. Disegno di Ettore Liuzzi.
Il taglio della legna: la lavorazione
La lavorazione della fascina. Nella foto: Gabriele Piccinelli.
La lavorazione della legna da ardere si effettuava bloccando, innanzitutto, il tronco d'albero su un apposito supporto, formato da due tronchetti scanalati e posizionati parallelamente l'uno all'altro sul terreno. Tale sistema sarebbe stato indispensabile, non solo per consentire un taglio il più possibile fermo, ma anche al fine di sollevare il tronco da terra, evitando di conseguenza che i denti della sega, sfregando sul terreno, si danneggiassero.
Si procedeva quindi al taglio vero e proprio mediate l'impiego del rèsegun (una grossa sega utilizzata da due lavoranti). Il tronco veniva segato in parti di lunghezza variabile, compresa tra il metro e mezzo e i due metri. Nei pezzi più piccoli, così ottenuti, erano, di poi, conficcati dei cunei di ferro, servendosi di una mazza in legno di sorbo, melo o pero. Tale attività consentiva lo spacco del legname in due, tre o quattro parti (stell) che, essendo più maneggevoli, potevano essere sistemate su un cavalletto dove, con una piccola sega, si ricavava infine legna da 40-45 centimetri per il camino, oppure da 20-30 centimetri per la stufa. Il legname, se non sufficientemente secco, avrebbe potuto essere accatastato contro muri o pareti, o conservato in appositi locali durante la stagione invernale.
Il taglio del tronco mediante l'utilizzo del rèsegun. Disegno di Ettore Liuzzi.
Il taglio della legna sul cavalletto. Disegno di Ettore Liuzzi.
La castagna di Brinzio
Fiori di castagno.
Foto tratta da: Centro di dialettologia della Svizzera italiana (a cura di), Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, Castagna, 2001, estratto, p. 35.
Una delle varietà vegetali più diffuse e, per tale ragione, risorsa di fondamentale importanza nell'intera fascia prealpino lombarda, è il castagno. Una pianta, dalla quale in passato, specialmente a Brinzio, non solo era possibile ricavare un ottimo legname, ma se ne sfruttavano anche i frutti. Le castagne costituirono infatti uno degli alimenti base nella dieta delle comunità locali.
La selva castanile è il luogo dove, tuttora, il castagno viene coltivato. Circa un mese dopo la fioritura, in genere durante le seconda metà di giugno, cresce all'interno del riccio la castagna. Questa giunge a maturazione verso la fine di settembre e l'inizio di ottobre, il periodo della raccolta. Tale attività, che in genere si configurava come comunitaria, un tempo era svolta soprattutto da donne e ragazzi utilizzando grembiuli (besascia) e rastrellini (ruspett). Le castagne erano, quindi, trasportate col carro in paese dove si procedeva alla cernita e alla loro selezione.
A seconda della qualità e dell'uso a cui erano destinate, venivano suddivise in quattro gruppi:
- castagne di prima scelta, le più grosse di solito impiegate come alimento o, talora, regalate (offerte in dono);
- di seconda scelta, destinate alla vendita;
- di terza scelta, venivano affumicate;
- di quarta scelta, adoperate come cibo per bestiame.
Le castagne di terza scelta venivano essiccate al fine di poter disporre di una riserva alimentare per tutto l'anno. Tale procedura era possibile grazie all'impiego della Grà, un edificio suddiviso in due vani da un graticcio di assi in legno, sul quale venivano riposte le castagne al fine di essiccarle al fumo ed al calore generato da una fiamma sottostante ricoperta da segatura.
Dopo 15-20 giorni, si procedeva alla battitura: sacchetti di tela inumiditi venivano riempiti di castagne e di seguito battuti su un tronco di legno da quattro uomini a turno, più uno che scandiva il ritmo. Tale attività avrebbe consentito la completa separazione della buccia e della pellicola interna dalla castagna.
Successivamente, le donne, mediante l'impiego di un ventilabro (vallo), si sarebbero premurate di separare il frutto dalla pula e dalle impurità.
Nei boschi di Brinzio sono stati compiuti numerosi innesti, grazie ai quali, nel corso di diversi decenni, è stato possibile selezionare diverse varietà di castagno:
- Piliscè - alberi alti e svettanti, molto produttivi e primaticci.
- Russiror - pianta dalla castagna sottile, chiara e lucente. In passato veniva, in genere, commerciata.
Venegon - dal frutto piccolo ma molto zuccherino e saporito. La castagna era oggetto di omaggio a persone di riguardo, oltre ad essere impiegata nella preparazione delle caldarroste. - Pajè - pianta tardiva. Il frutto possiede una buccia particolarmente scura. Nel riccio si trova spesso una sola grossa castagna e due "musone".
- Marroni - varietà di scarsa diffusione, poiché poco produttiva e dal frutto poco gustoso.
- Verdese - albero dalla chioma imponente. Esemplare poco diffuso nell'intero territorio delle Prealpi Varesine.
Castanea sativa.
Disegno da: Centro di dialettologia della Svizzera italiana (a cura di), Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, Castagna, 2001, estratto, p. 36.
La raccolta delle castagne (1920 ca., Media Valle di Blenio).
Foto tratta da: Centro di dialettologia della Svizzera italiana (a cura di), Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, Castagna, 2001, estratto, p. 39.
Venditori di castagne in filze.
Foto tratta da: Centro di dialettologia della Svizzera italiana (a cura di), Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, Castagna, 2001, estratto, p. 93.
La Grà per l'essiccazione delle castagne (Brinzio).